"Un giorno mia madre portò a casa degli scarti dalla macelleria. Erano quelli con cui preparavamo il pappone agli animali e quel giorno chiese a me di farlo.

Presi l'involucro e dopo averlo aperto ancora appiccicoso e insanguinato cominciai a tagliare la carne in parti più piccole, così che le bestie non si strozzassero. Usavo un cortellaccio e affettavo le parti informi senza badarci troppo. Poi ad un tratto la consapevolezza mi colpi. L'unico pezzo di carne scuro che avevo tra le mani era un cuore. Un cuore interoAvendo visto fino a quel momento solo interiora e scarti mi sorprese ritrovarmi tra le mani un organo nobile. Posai il coltello e m'immersi nella contemplazione delle fasce di muscoli che lo componevano. Pensai al vitello che un tempo l'aveva adoperato per pompare il sangue nella muscolatura. Allora divenni sangue, e vidi tutti i capillari che costituivano il torace, le zampe, la coda, le orecchie.

Sentii pulsare dentro la vita di quell'animale, che io tanto malamente tagliuzzavo. Sentii allora il mio cuore pulsare nella mia gabbia toracica. Si contraeva e si espandeva. Una macabra curiosità allora mi prese. Mi immaginai di aprire il mio petto e trovare lo stesso cuore pulsante, di aprire il mio addome e trovare la cena della sera prima, che veniva digerita come l'erba dal vitello. Da quel giorno in poi non provai più l'inebriante sensazione che quel cuore aveva lasciato in me.”