Parlare di perdita non è facile, così come non è facile relazionarsi ad essa. Esiste però un luogo adibito alla cristallizazione e al relazionarsi con ciò che è andato perduto, il cimitero.

Quando mi reco al cimitero la mia attenzione è catturata soprattuto dai loculi vuoti, quelle caselle in cemento spoglie, che prima o poi saranno delle tombe, spesso utilizzate come magazzini per gli attrezzi da manutenzione del cimitero, con il tempo mi sono iniziati a interessare più quelli che erano tenuti intonsi.

Nei loculi intonsi, puliti con cura, emerge un paradosso: l’illusione che un ordine esteriore possa mitigare il disordine interiore. Questo gesto simbolico rappresenta il tentativo umano di controllare ciò che è ineluttabile.

Il secondo fenomeno che mi colpisce di tali luoghi è la disposizione rigorosa con cui sono sistemati i loculi a parete, vanno a formare una sorta di contesto "comunitario" il cui il minimo comune denominatore è la fine, dopo la quale tutti siamo messi sullo stesso livello. 

I loculi ed il loro ordine rigoroso si fanno in questo lavoro metafora visiva di spazi da riempire con i segreti non detti e le emozioni non condivise.

In questo contesto tutto ciò si fa metafora del dubbio, che, voglio trattare come la morte viene trattata nei cimiteri, inteso cioè non come limite o come demone, ma come strumento di connessione. Esso ci ricorda che la comprensione piena è spesso inaccessibile e che la vulnerabilità emotiva ci accomuna tutti.